Faida. L'amore, l’inganno, il sangue…

Il libro
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"Faida. L'amore, l’inganno, il sangue…" di Giorgia Spano - AIPSA Edizioni, collana Altre Storie - Cagliari, 2011 (234 pp., 21 cm., ISBN 9788895692401. Collocazione: S 853.92).

 

 

Brani del Romanzo

 

- Chi siete voi?
La voce rauca da dietro le spalle gli fece fare un soprassalto.
- Vi siete svegliato! Io sono un pastore, mi chiamo Francesco. Vi ho trovato ieri e...
- Vi ringrazio, mi avete salvato la vita. Ma dove mi trovo?
- Siete nel mio rifugio.
- Sì, ma qual è il paese più vicino?
- Ci troviamo in montagna, sui monti di Bolotana, vicino a Macomer.
- Capisco.

- Ma voi chi siete?

- Sono un ingegnere, mi chiamo Emilio Ariu. Ero diretto a Macomer per parlare con alcuni uomini che si occupano della costru­zione della ferrovia. Dei delinquenti incappucciali, con dei fucili, mi hanno sbarrato la strada costringendomi a fermare la macchina. Volevano soldi. Gli ho dato il portafoglio e poi hanno incominciato a picchiarmi... Poi non ricordo più nulla

 

Forse fu il destino: questo episodio cambiò la sua vita.
L'ingegner Ariu lavorava ai vertici del più grande stabilimento industriale della Sardegna: la fonderia di San Gavino Monreale.
Appena si riprese, per sdebitarsi, gli propose di lavorare nella sua fabbrica. Avrebbe avuto la possibilità di guadagnare in un mese ciò che come agricoltore e servo pastore guadagnava in un anno.
Franziscu non ebbe dubbi e accettò.

 


Su Scallatoriu de Santu Engiu

II giorno che arrivò in fonderia era il 30 novembre del 1950, il giorno di sant'Andrea.

Per fortuna ad accoglierlo fu lo stesso ingegnere Ariu che, ancora grato, lo guardò come se fosse stato un angelo mandato dal Signore.
- Francesco, sei arrivato!
-  Sì, Signore. Sono arrivato a San Gavino ieri sera alle nove e ho avuto la fortuna di essere ospitato dai frati del Convento per la notte.

L'ingegnere lo accompagnò fino al reparto, dove lo lasciò in compagnia di Bruno.

-  Mi ha detto l'ingegnere che vieni dalla montagna. Cosa sai  fare?
- So badare alla terra e al gregge... Ma...
-  Picciocheddu, qui non ci sono tette da mungere ma devi fare attenzione a non farti mungere tu dalle macchine! - rise sonora­mente.
Bruno era uno dei primi operai assunti nella fonderia, aveva quarantanni; aveva lavorato presso la miniera di Ingurtosu, nella quale aveva avuto il privilegio di essere assunto a soli quattordici anni come minatore, essendo orfano. Il padre, un grande maestro di musica originario di Ales, dirigeva la banda musicale di Mogoro. Il maestro Emilio e sua moglie donna Ciccita abitavano a Guspini, paese originario di quest'ultima e da lì a piedi, passando per Arbus, ogni giorno Bruno percorreva circa sei chilometri per infilarsi sotto terra. Il fratello maggiore era stato dato per disperso in Libia nella prima guerra mondiale. Bruno era il secondo e aveva altre sorelle e un fratello più piccolo, Elvio, ora stimato operaio come lui, della fonderia.

Con la fonderia ci fu senz'altro un salto di qualità. In qualche modo, come diceva anche lui, aveva contribuito alla sua storia e all'inizio della modernizzazione conseguente del suo paese d'ado­zione, San Gavino Monreale. Infatti il giovane Bruno fu coinvolto nell'opera di costruzione della fabbrica quando la caduta della borsa di Wall Street del 1929 determinò un collasso dell'economia mon­diale.

Il lavoro era organizzato in tre turni di otto ore: dalle 08.00 alle 16.00; dalle 16.00 alle 24.00; dalle 24.00 alle 08.00. Veniva concessa un'ora per i pasti e fu proprio questo breve lasso di tempo che con­sentì a Franziscu di familiarizzare con i diversi spazi e comprendere la specifica funzione di ogni reparto.
Infatti, mentre la maggior parte dei sangavinesi rientrava a casa per il pranzo, lui, insieme a tanti altri pendolari, mangiava in fab­brica.
Comprese così l'intero ciclo di lavoro. Il materiale arrivava con un trenino direttamente dentro la fonderia. Veniva scaricato, pesato, poi trasportato negli altri reparti: reparto di macinazione; reparto di desolforazione; reparto di fusione; reparto di raffinazione. All'ester­no, nel piazzale poco lontano dall'ultimo reparto in cui finiva il ciclo di lavorazione, c'era una zona in cui si riversavano le scorie e dove si trovavano i camini, la cabina elettrica e la sala pompe per il pom­paggio dell'acqua dai pozzi artesiani.

La grande chioma castano dorata fu libera di poggiarsi sulle spalle e, calda, accarezzare il suo viso livido per il freddo e per il dolore.

Spiccava il buio del suo sguardo corrucciato. Occhi di un azzurro penetrante, un azzurro sconosciuto tra la sua gente.

Sa femina ogri latina, la donna dagli occhi di cielo, la chiamavano. E tutti  in paese capivano di chi si parlava.

"Oggi... oggi sono venuta a onorare la morte dell'uomo che ho amato, amo e amerò in eterno. Mai in vita mia ho conosciuto uomo tanto apprezzato, valoroso e degno di onore. Voi uomini e donne della mia terra sapete di cosa parlo. La storia della nostra passione ha suscitato l'invidia di molti, la rabbia di alcuni e la pietà di chi vive nella grazia di Dio e non si permette di mettersi contro l'amore, lo sono qui per dire a questi ultimi grazie e ai primi, avete perso!".

 


La prima transumanza

II tempo era maturo per la prima transumanza.
Franziscu era un esperto servo pastore da oltre sei anni. Quell'estate del 1950 compiva quattordici anni. Dopo i tre anni obbligatori delle elementari, aveva abbandonato i banchi di scuola per contribuire al bilancio familiare.
Seduto all'ombra di una vecchia quercia, osservava le pecore ma­sticando e succhiando un lungo filo di paglia.

Il ruscello di 'Iralòtta scorreva veloce e Pranziseli cercò di avvici­narsi in un punto in cui l'acqua sembrava rallentare la sua corsa, per salire poi di livello in un piccolo anfratto che, di giorno in giorno, aumentava.

La bambina lo guardava incuriosita e dolce. Seduta sulla riva op­posta del torrente a circa due metri da lui, si teneva le ginocchia tra le braccia. Indossava un sottile abitino bianco senza maniche.

- Ma tu chi sei?
- Io sono la "Principessa della Montagna", - disse seria, sottoli­neando le sue parole con espressione altera.
- Una principessa?!

Franziscu scoprì che la bimba più bella del paese era figlia del più grande e ricco proprietario terriero del Marghine. Il suo padrone. Forse era davvero una principessa...

 


 

L'autrice

 

Giorgia Spano è nata nel 1971 a San Gavino Monreale. Dopo essersi laureata in Pedagogia presso l'Università di Cagliari si è specializzata a Firenze in Pedagogia Clinica e successivamente a Cagliari in Disturbi dell'apprendimento. Attualmente esercita la professione presso il suo studio a Cagliari e collabora con diversi Enti e Agenzie presenti nel territorio. Faida è il suo secondo romanzo. Il primo è Accadde per caso o per destino.

 

 

 

 


 

Recensione

 

Faida di Giorgia Spano - AIPSA Edizioni, 2011 - pp.234 - Euro 14,00.

Già dal romanzo di esordio "Accadde per caso o per destino" (Kimerik, Ed. 2007) l'autrice si dimostrò incline a profonde incursioni nell'animo umano, sottile indagatrice di eventi e sentimenti senza tuttavia troppo concedere al sentimentalismo. Il   suo   secondo   romanzo   non   smentisce   peraltro   la   medesima   prospettiva   di   indagine   psicologica, sperimentandola anzi intorno a un tema difficile e caro alla sua terra, a tratti aspro e duro come dura è stata l'evoluzione del mondo agro pastorale del primo novecento, densa di storia e di esperienze. Giorgia Spano dunque ripercorre con intensità l'universo narrativo della trama e dei suoi personaggi, calandosi con passione nelle loro vite, emozionandosi ed emozionando.
Così descrive l'amore ingenuo e incondizionato di Nina per il suo "Re della Montagna", le arguzie di Letizia, serva ambigua, perfida e infedele, e lui Franziscu, giovane innamorato pastore e operaio, esempio emblematico di una fierezza e onestà incontaminate. Franziscu rappresenta metaforicamente una società che tenta di emanciparsi e a tal fine affronta lotte, pericoli, sacrifici e sangue. I luoghi della memoria si intrecciano con le tradizioni, accompagnati da bellissimi miti di saggezza popolare, tra fede e realtà. Ma l'autrice non risparmia su altri argomenti importanti: la lontananza, il tempo che passa, il tormento amoroso, dissidi, sentimenti interrotti, vite spezzate. E' una storia di ampio respiro, che lega la lettura all'esistenza umana attraverso pagine dense di ricordi e suoni magici di un popolo antico e orgoglioso.
La scrittura è fluida, efficace e continuamente rimanda alle espressioni musicali del dialetto sardo, quello letterario per eccellenza l'antico logudorese, la lingua delle streghe e dei luoghi ameni, dei boschi cupi e degli anfratti di montagna, quello di una terra valente, di carattere. E mentre la vita si apre alla speranza e ai sogni di Franziscu, entrato a far parte del grande polo industriale della Sardegna degli armi trenta, i destini dei protagonisti si sfidano e si confrontano, violentemente. L'autrice dimostra di conoscere bene la storia della sua terra e della sua gente e si muove lungo un itinerario personale di crescita e di riflessione verso le origini, nel quale il lettore coglie l'affiato per la ricerca dei segnali ulteriori, piccoli frammenti e dettagli dell'anima che pure vengono mantenuti nell'unicità della dimensione letteraria del romanzo.
Tutto evoca ricordi e sensazioni in una vicenda che fa soffrire e che ha senso poiché è stata abilmente raccontata dall'inizio alla fine.

 

Maria Antonietta Vargiu