Dall'età dei nuraghi all'era atomica

Da Il Filo della Memoria 2.0 - Biblioteca Multimediale di San Gavino Monreale (VS).

Dall'età dei nuraghi all'era atomica

Attraverso una storia di millenni non si è esaurita la sorgente di metalli della Sardegna

I primi escavatori della Sardegna furono gli stessi guerrieri eneolitici che trassero dalle ossidiane di Monte Arci, dai calcari della Murra e dalle dioriti di Gergei le armi per combattere e gli utensili per vivere. L'attività mineraria del romani fu oltremodo intensa e si volse prevalentemente all'estrazione dell'argento, la quale valse a dare alte nostra isola il nome di Metallifera e nel quadro della sua economia una speciale fama: India ebore, argento Sardinia et Attica melle scrisse Archita di Taranto e più tardi Solino fa rilevare che in essa metalla argentaria plurima est. Nelle oscure gallerie, dove i romani estrae vano metalli per la loro potenza, si formarono i primi nuclei cristiani e si moriva per la fede. Il Catalogo Tiberiano ricorda il papa Ponziano che, mandato in Sardegna ad metalla, mori di stenti nell'anno 235 e la sua salma fu da papa Fabiano tratta in Roma e seppellita nel cimitero di Via Appia. Lai ricchezza metallica dei giacimenti sardi fu la spinta prevalente che indusse Pisa e Ge­nova ad unire ai primi del sec. XI le loro flotte per liberare la nostra isola dal giogo sara­ceno e fu una delle cause principali delle aspre lotte fra le due città marinare che, durate per più di due secoli, culminarono con la battaglia della Meloria. Al conte Ugolino della Gherardesca, e più esattamente di Donoratico, grande argentiere, si deve se Villa di Chiesa, l'odierna Iglesias, mode­sto villaggio del Sigerro, si trasformò in una cospicua cittadina e la coltivazione delle mi­niere ebbe una ben congegnata organizzazione della quale è mirabile espressione il Bre di Villa di Chiesa di Segerro, che insieme quelle sul governo e sulla sicurezza dell'abitato con­tiene particolareggiate disposizioni per l'esercizio e la lavorazione delle miniere alle quali sopraintendevano i maestri del monte per far dell'argentiera le cose buone ed utili per l'Università delli huomini dell'argentiera, mentre i maestri delle fosse erano preposti i ai lavori di ricerca di scavo con mansioni esclusivamente tecniche. A lato dell'organizzazione lavorativa, disci­plinata dal Breve, compagnie bancarie e com­merciali svolgevano efficace azione per il finanziamento delle escavazioni e per la raccolta e vendila del 'metallo. Alcune di esse operavano in Villa di Chiesa; mentre altre e più importanti, come quelle dei Peruzzi di Firenze, avevano banco in Castel di Cagliari. Mediante il siste­ma delle compagnia con emissione di trente una specie di titoli azionaria cui possesso pote­vano concorrere gli argentieri con il propio la­voro, e grazie all'organizzazione che assicurava le vendite, le maestranze erano stimolate a la­vorare in pieno. Le falde del monti del Sigerro s'infittirono di fosse e di discariche e tanto es­se furono numerose che Fazio degli Uberti a metà del sec. XIV ne tramandò il ricordo: Ivi sono vene che fanno malto, argento, e Marsilio di Padova scrisse della Sardegna: Ella è ricca e fertile d'argento. In questa nota, anche se riassuntiva, non si può prescindere da altri settori industriali: le salina e le cave e le pietre da taglio, che in­fluirono favorevolmente sull'economia isolana. L'estrazione del sale ha origine antichissima, for­se preistorica, e l'altra delle pietre da taglio fu intensa nel medioevo, fornendo i materiali per i paramenti delle belle chiese romaniche e di altri edifici. Ricordiamo che Cagliari si gio­vò del suo calcare compatto per innalzare le sue torri che il tempo ingentili con patine dorate e le cave di S. Reparata di Gallura fornirono al Battistero di Pisa le colonne granitiche. I re di Aragona seppero apprezzare la sal­da organizzazione data da Donoratico alle miniere, ma ne riservarono il possesso alla corona, il che portò al controllo, alle vessazioni degli ufficiali regi, ad una complicata burocrazia e di conseguenza alla decadenza che si ac­centuò maggiormente con la scoperta dell'America e con una più attiva lavorazione delle miniere di Spagna. Le estrazioni minerarie fino ai primi del secolo XVIII furono alla mercé di escavatori senza esperienze e senza risorse, per lo più proprietari, negozianti e anche sacerdoti, il che portò ad una possibile contrazione nelle esplo­razioni e nella lavorazione. Il primo atto di amministrazione mineraria compiuta da Vittorio Amedeo II, poco dopo che in forza del trattato di Londra cinse nel 1720 la corona del regno di Sardegna, fu la concessione di tutte le miniere a favore di Don Pietro Nieddu e di Durante di Cagliari che furono poi sostituiti da una società inglese che faceva capo in Sardegna al console svedese Mandel al quale nel 1740 fu accordato il privilegio esclusiva della coltivazione dei giacimenti minerari, della fu­sione e della esportazione dei minerali estratti. L'azione spiegata dal Mandel fu oltremodo benefica e le miniere di Sardegna - prime fra esse quella di Monteponi e di Montevecchio vennero messe in normale, ed in certo qual modo, razionale funzionamento, tanto che mi sembra che al compilatore del comunicato per l'inaugurazione del Congresso Minerario, la pa­rola abbia tradito il suo pensiero quando scris­se che nell'occasione si sarebbe celebrato il centenario dell'attività delle Miniere di Montevecchio, giacché queste erano in esercizio sin dal XII sec. e durante la gestione Mandel in essa non solo vennero introdotte nelle lavorazioni i si­stemi e i mezzi più perfezionati di quel tempo, ma per la fusione si costruì presso Villacidro in vicinanza a secolari foreste che fornivano In legna da ardere e alle acque del Rio Leni che venivano usufruite per forza motrice. Si adotto in altre parole il ciclo di lavorazioni che in tempi recenti e con mezzi adeguati alle forti possibilità d'oggi seguì l'ing. Rolandi con la costruzione della fonderia S. Giorgio. Anche l'impresa Mandel subì svariate con­troversie che portarono alla decadenza dei concessionari e al sequestro delle loro attività. Al principio del XIX secolo l'industria mi­neraria sarda era in completo abbandono, mal­grado che ad intensificare le lavorazioni di Monteponi si fossero fatti venire 200 forzati da Villafranca. Non essendo pur tuttavia scossa la fiducia in una rinascita, il governo affidò la direzione dell'Azienda Mineraria all'ingegnere D. Francesco Mameli che compromesso nei moti del 1821, fu tra i patrioti che vennero pro­scritti in seguito a questa prima sollevazione dal sentimento nazionale. Nobile famiglia quella dei Mameli in Sardegna che onorarono la no­stra patria con una serie di azioni nobilissime che culminarono con il sacrificio di Goffredo Mameli, al pari dello zio Francesco purissima espressione del più sentito patriottismo. Primo risultato dell'attività dell'ing. Mameli, di cui si ha una relazione che stesa verso il 1832, fu data alle stampe nel 1902 a cura della Associazione Mineraria, fu il riordinamento dell'ufficio delle Miniere e l'estensione alla Sar­degna della legge del 1840, preludiante a quella del 1859 la quale ebbe influenza decisiva sullo ulteriore sviluppo minerario. Con il Mameli s'inizia per le miniere della Sardegna un singolare periodo in cui alle attività di tecnici si alternano aspirazioni di letterati di patrioti. Ricordo le perizie dell'intrapresa tentata da Onorato Balzac quali risultano dalle sue lettere alla dolce amica, madama Hanska. Nel 1837 un negoziante genovese, certo Pezzi, intrattenne il grande romanziere su una possibile speculazione in grande stile, lavorando le scorie piombo-ar­gentifera di antiche discariche. Balzac intravvista in quest'affare l'occasione di acciuffare la for­tuna che in fatto di quattrini gli era stata sempre avversa, noleggia una barca ad Ajaccio, sofferente di mare dopo una movimentata tra­versata durata otto giorni giunge ad Alghero dove il governatore non gli permette di sbar­care se non a quarantena finita, montando un brocco si porta all'Argentiera nella Nurra, dove esamina le discariche e raccoglie numerosi cam­pioni e, attraversando in lungo la Sardegna, raggiunge Cagliari dove l'attende una notizia sconfortante: il suo socio Pezzi avea richiesto ed ottenuto per suo conto il diritto di esplora­zione. L'ex-pedition durò una cinquantina di gior­ni, durante i quali Balzac sopportò le più dure sofferenze e privazioni, le quali pur tuttavia non giustificano le insolenze sulla nostra isola sparse nel suo epistolario. Lo sfruttamento delle scorie ebbe attuazione molti anni dopo ad opera di Enrico Serpieri, com­pagno dell'Orsini e membro della Costituzione Romana che formò parte di quella schiera nobilissima di romagnoli, i quali respinti dalla Francia e dagli staterelli nei quali era divisa l'Italia rifugiaronsi nella nostra Isola dove Cavour seppe dar loro larga ospitalità senza susci­tare la diffidenza dei governanti di Francia e di Austria. Il Serpieri, che fissò la sua dimora in Cagliari dove visse onorato e lasciò numerosi discendenti, scelse le scorie dell'Iglesiente e in particolare quelle di Domusnovas, Depositi di scorie non erano solo in Sarde­gna ma anche in Grecia dove si spinse attraverso l'opera dei suoi figlioli l'attività dell'esiliato romagnolo e con le lavorazioni delle miniere dei Laurium furono gettate le basi della fortuna di Casa Serpieri che partecipò alle più utili intraprese industriali e finanziarie greche ed ita­liane, in particolar modo, alla fondazione della Mantecatini, ancor oggi in posto di primo piano. La miniera di Montevecchio si gloria di aver avuto alla sua direzione un grande scrittore, Francesco Domenico Guerrazzi, un eminente patriota e uomo di Stato, Giuseppe Galtelli, ministro di Pio IX e presidente della Costituente Romana. Le movimentate vicende di questa mi­niera potrebbero formar oggetto di storia roman­zata: restato unico concessionario, Giovanni An­tonio Sanna, singolare figura di industriate e di giornalista e amico di Mazzini e di Garibaldi, strinse cordiali rapporti di amicizia con Fran­cesco Domenico Guerrazzi, al cui nipote, Fran­cesco Guerrazzi, diede la mano di una sua fi­gliola. Nel 1866 il Sanna affidò la gerenza della Montevecchio al genero ma chi l'esercitò di fatto fu il dittatore toscano, la cui assorbente attività scosse la fiducia del Sanna. Fra i due avvenne una rottura clamorosa che ebbe uno strascico violento di accuse, di libelli diffamatori e di ben note vicende giudiziarie. Ingiurie plateali so­no scambiate fra i due: Francesco Domenico Guerrazzi definisce il Sanna un volgare avventuriero, mentre questi dalle colonne del suo giornale inveisce contro il tribuno, trattandolo da Don Basilio, da Dulcamara, da tiranno da strapazzo, smascherato dal Giusti nell' Arruffa Popoli. La serie delle personalità la cui opera fu legata allo sviluppo delle nostre miniere si chiude degnamente con Quintino Sella, caro a tutti gli italiani e in particolar modo a noi sardi. Le sue indagini sulle condizioni della Sardegna ci mo­strano un lato poco noto della sua attività e cioè quello di storico e di paleografo che pa­lesò in forma ammirabile con la trascrizione e la pubblicazione di un vecchio codice del XIV sec. conservatesi nella Biblioteca dell'Università di Cagliari. Nella seconda metà del secolo scorso, dopo l'agitato periodo delle più importanti con­cessioni, il ritorno alla normalità avvenne senza strepito e senza fratture, agevolato ad una più elevata comprensione per parte dei concessionari e dall'apporto di nuove conoscenze per parte di tecnici di valore come gl'ingegneri Giorgio Asproni che fu il primo a dar nuovo indirizzo alla miniera di Montevecchio, il conte Baudi di Vesme che alternava la sua attività di minatore con gli studi umanistici, dei quali sono ottima prova il «Codex Diplomaticus Ecclesiensis» e l'edizione del <<Cortegiano>> del Castiglione, il Castoldi, ancor esso genero del Sanna, che fu alla dire­zione di Montevecchio, il Ferrari, ilSartori, i Fratelli Sanna Manunta, il Piga il Roux di Bacu Abis, ed altri egregi, ormai tutti scomparsi. I tecnici d'oggi non sono da meno a per­suadersene è sufficiente tener presente. I nomi dell'ingegnere Rolandi, spirito bizzarro,, tecnico realizzatore di grande valore che nelle sue inizia­tive, che non hanno sosta, porta l'arditezza e il coraggio spiegato in momenti difficili, dell'ing. Minghetti di Montevecchio, degli ingegneri Binetti e Musio che nella amministrazione e direzione della Monteponi svolsero e svolgono con ritmo sempre crescente opera davvero ammirabile, dell'ing. Audiberi e De Stefani della Partusola, dell' ing. Borghesan e di tanti altri degni sotto ogni riguardo. Se a questi nomi, che possiamo dir nostri, aggiungiamo quelli degli insigni tecnici e scien­ziati che vennero in Sardegna per partecipare all'ultimo Congresso siamo certi dell'influenza che potranno esercitare le discussioni e le af­fermazioni del convegno non solo sulla tecnica e sulla scienza mineraria, sulle provvidenze sociali e su auspicate nuove disposizioni legislative, ma anche sull'economia isolana che ha necessità che siano risolti diversi problemi come quello di Carbonia, il complesso industriale più imponente dell'isola che attende ancora la sua soluzione, degli ulteriori sviluppi delle miniere in esercizio, delle altre di ferro, di rame, di stagno, di man­ganese ecc. sulle quali una parola serena, basata sulla realtà, sulla scienza e sulla tecnica» potrà indurre a seguire un indirizzo piuttosto che un altro.

Dionigi Scano