La chiesa di San Gavino martire ed Eleonora d'Arborea

Da Il Filo della Memoria 2.0 - Biblioteca Multimediale di San Gavino Monreale (VS).

Da "Il Messaggero Sardo", Anno XLI n.2 del Febbraio 2009.


Paesi di Sardegna

SAN GAVINO MONREALE

La chiesa di San Gavino martire ed Eleonora d'Arborea

di Franco Fresi

L'articolo de "Il Messaggero Sardo"

Nella chiesa forse il vero volto della Giudicessa che frequentava le Terme di Santa Maria - La produzione dello zafferano per il rilancio dell'economia

Parlare di San Gavino Monreale vuol dire, tra l’altro, pensare ad Eleonora d’Arborea. Non soltanto alle sue grandi imprese militari e giuridiche, ma anche alle sue abitudini, ai suoi luoghi di riposo, alle sue fattezze fisiche, che nessuno conosce realmente in quanto non esistono di lei ritratti autentici. Più d’una volta le sono state attribuite sembianze che poi sono risultate di altre. Si è propensi oggi a pensare che i suoi veri connotati fisici siano quelli (individuati nel 1983) scolpiti nella pietra di un capitello nella chiesa di San Gavino Martire, proprio a san Gavino Monreale. Costruita in stile gotico e consacrata nel 1388, la chiesa è ritenuta il mausoleo dei giudici d’Arborea: voluta da Mariano IV già dal 1347 e completata una quarantina di anni dopo per volere di Eleonora, era molto cara alla giudicessa come il castello di Monreale e l’intera villa di San Gavino che la famiglia giudicale aveva sempre frequentato per il clima fresco delle sue terre e le acque benefiche delle Terme di Santa Maria. Oltre a quella di Eleonora, altre effigi in pietra sembrano raffigurare i giudici Mariano IV Ugone III e Brancaleone Doria. Pare che sia stata la stessa Eleonora a incaricare l’artista che curò l’interno della chiesa di ritrarla nella pietra locale assieme alle persone a lei più care. A chi ha raggiunto una certa conoscenza dei personaggi rappresentati nella pietra, avendone letto gesta e vicende e se n’è fatto un “ritratto mentale”, resta difficile non attribuire a queste maschere di trachite rassomiglianze con l’idea che si era fatto dei loro corpi in carne e ossa: sereno e aperto il viso di Mariano, la testa incoronata rivolta verso l’alto, con il capitello che sembra appoggiarsi più che pesare sulle punte del diadema: prono, segnato da un cruccio quasi doloroso, tra l’infantile e il tormentato, il mento sostenuto dal pugno, quasi ad alleggerire il peso del capitello che grava sulle spalle e sulla corona d’Arborea, quello di Ugone III; svagato, sognante, un po’ pingue, quello di Brancaleone. Bellissimo, invece, il viso dolce di Eleonora, l’ovale perfetto come soffuso da un’ombra di stupore e incorniciato dai lunghi capelli sciolti, che forse più di una volta avrà lasciato pendere sulla misteriosa ferita del volto (colpo di lama, bruciatura di pece greca o che altro?) per dissimularla anche solo per un attimo. Il corpetto, appena scollato e segnato ai due lati da tre file di ornamenti a forma di croce, è come chiuso in fondo dalle braccia conserte. Una lunga cicatrice arquata le attraversa la parte destra del volto dall’altezza del sopracciglio fino all’estremità della guancia. Nella stessa chiesa, in fondo all’abside, un piccolo gruppo scultoreo quasi identico al primo sembrerebbe rappresentare Eleonora con i due figli Federico e Mariano. Andando indietro nel tempo di parecchi secoli si trovano nel territorio intorno al paese tracce evidenti di insediamenti nuragici e punici; ma anche di un nucleo abitativo romano dal quale si sviluppò in periodo medioevale il villaggio di Nurazzeddu dove venne costruita la chiesa di San Gavino. Il paese attuale sorse proprio da questo borgo appartenente al Giudicato d’Arborea, nella curatoria di Monreale. Durante le guerre tra Aragona e Arborea l’intero territorio, teatro di scontri sanguinosi, fu gravemente danneggiato. Il villaggio, dopo la fine del giudicato, diventò, nel 1420, feudo di Raimondo Guglielmo Moncada ai cui discendenti venne sequestrato nel 1453. In seguito entrò a far parte dei possedimenti di Simone Royg, subito rivenduti a Pietro di Besalù, genero del conte di Quirra. Dopo varie vicissitudini il territorio di Simone Rogey, e quindi anche il paese di San Gavino, andò a far parte, dal 1477, della contea di Quirra. Altre vicissitudini secolari videro il paese passare dai Carros ai Centelles, ai Borgia, ai Català e in fine agli Osorio. Nel 1821 divenne capoluogo di mandamento nella provincia di Cagliari. Oggi questo bel centro del Medio Campidano (9.099 abitanti, 54 metri sul livello del mare) adagiato nell’ampia ansa del rio Bruncu Fenugu, poi rio Malu, nella parte centrale della fertile pianura campidanese, con il territorio comunale di 87,54 km quadrati dalla forma approssimativa di trapezio confinante a nord con Pabillonis e Sàrdara, a est con Sàrdara e Sanluri, a sud con Villacidro e a ovest con Gonnosfanadiga, vive di una buona economia a base agricola, soprattutto cerealicola e frutticola (importante la coltivazione dello zafferano), e di allevamento, bovino, suino, ovino ed equino. Negli ultimi decenni sono sorte promettenti attività industriali particolarmente rivolte ai settori agroalimentare, lattiero caseario, metallurgico ed edile. Il patrimonio archeologico riguardante il passato remoto è garantito da una decina di nuraghi e da resti risalenti al periodo romano in zone particolarmente fertili, segno inequivocabile di comunità attive soprattutto nell’impegno agricolo. Punto di attrazione turistica è soprattutto la chiesa di San Gavino che richiama le forme primarie di natura gotica, appartenente oggi a un ordine monastico, con la sua storia ricca di fascino e di mistero. Da visitare anche la parrocchiale di Santa Chiara, del XVI secolo, la Chiesa di Santa Croce, sempre del XVI secolo, che conserva il grande crocifisso di s’Iscravamentu e una “Madonna della Pietà” del XVIII secolo, opera di Antonio Cano. Degno di attenzione è anche il complesso detto di Santa Lucia con la chiesa, ampliata nel 700, e il convento dei Minori osservanti. Per il turista innamorato dei trattenimenti moderni tappe e date da non dimenticare sono il carnevale, le manifestazione note come “Estate sangavinese”, la “Mostra dello zafferano” e la festa di Santa Lucia, il 13 dicembre, rutilante dei colori del bel costume locale che tutti indossano per l’occasione.