Sardegna sconosciuta

Da Il Filo della Memoria 2.0 - Biblioteca Multimediale di San Gavino Monreale (VS).

Sardegna sconosciuta

A questo articolo fu assegnato l'anno scorso il premio stabilito per il miglior pezzo giornalistico sulla Fiera. Lo riproduciamo perché ancora oggi valido ed efficace.


Questo mio non ha i numeri per essere un buon servizio e neppure, semplicemente, un ser­vizio dalla Fiera di Iglesias. Cos'è? Non saprei; una chiacchierata alla buona, una riflessione più lunga del lecito o, forse, una intervista. Un'in­tervista purtroppo, senza una attrazione ragguardevole, senza un Ministro o una grande attrice. E c'è di peggio. C'è che l'intervistato è un collega, un giornalista. So bene che non va: lo spettatore non deve diventare attore. E nessuno più del giornalista è irrimediabilmente eterna­mente spettatore. Sempre presente e sempre al margine della cronaca e della storia: il suo simbolo: Pasquino. Da voce alle passioni frecce alla lotta, evoca fantasmi che non può domi­nare: la vita ribolle interno, i segni del tempo non lo risparmiano. , finché non rinun­cia al suo ruolo non è mai protagonista di quello che prevede, descrive, interpreta. Ma ha colpo d'occhio: deve averne, nel suo mestiere. Deve vedere per decine di migliaia di lettori. Ha : deve averne, se non vuole essere uno squallido di parale. Qual­che volta, perciò, vale la pena di ascoltarla Ed io, vorrei che avesse ascoltato il collega E, stasera al bar della Fiera. Un collega che viene da lontano, a una specie di appuntamento con questa terra dimenticata, ogni volta che può: per la visita di un ministro americano, per un pro­cessione alle Assise di Nuoro, per ima Fiera. «Vedi - diceva il collega E. - i romani conoscono Roma peggio del forestiero che va da un mu­seo all'altro col naso sul «Baedeker». Non dico che capiti lo stesso ai sardi; ma il forestiero che si affida alla loro guida, troppo spesso rischia di si. Vivete in un ambiente travagliato da una crisi che lo squassa dalle fondamenta, dove si affrontano il vecchio e il nuovo, due mentalità, due aspetti sociali opposti ed inconciliabili, E molti, troppi di voi hanno un segreto <<prejugé favorable» per tutto quello che ap­partiene al passato e una diffidenza malcelata verso ciò che reca l'avvenire. «Esiste così una Sardegna sconosciuta., una Sardegna da ; ma non è quella attraver­sata dalle ombre di Marianna Sirca e di Elias Sardegna che non è proprio quella di Elias Portolu, non è quella degli stazzi, delle tanche battute dal vento, del sugheri contorti e maca­bri su prospettive deserte. La Sardegna scono­sciuta, almeno per noi, è un'altra: è la Sardegna delle ciminiere, delle perforatrici che mordono il granito, dei cunicoli che si inseguono nel sotto­suolo, Vedi, mi capita di parlare come se det­tassi allo stenografo le cartelle di un servizio che mi scotta tra le mani e che, forse, non scriverò. Sai come vanno le cose da noi. Fatti ci vogliono», strillano gli editori, e se sono fattacci tanto di guadagnato. :Fatti, fatti», ripe­tono i direttori. Lei stia in Sardegna: e mandi al giornate una buona rapina. Lasci perdere i discorsi sul colore delle nuvole. Malinconie, d'accordo. Comunque, una cosa è certa. Per me, straniero alla Sardegna, questa Fiera è stata una specie di via di Damasco. Mi hai accom-pagnato altre volte su e giù per la Gallura, la Baronia, la Campeda, Mi sentivo attratto e sgo­mentato di quella solitudine inesorabile, da quelle distese funebri d'asfodeli. Ricordi i caprai di Lula, del Bruncuspina? Ricordi la spiaggia di Tharros desolata di tombe saccheggiate? Il volo dei fe­nicotteri contro il ciclo rosso rame che si spec­chiava nello stagno di Pula? Ecco dicevo allora -- il sonno di Ichnusa. Non si è destata notti si desterà. E scrivevo allora <<Sardegna fer­ma nel tempo»: elzeviro, fondo di terza pagina. Era vero quello che scrivevo: ma solo per quel­la Sardegna che avevo visto e studiato con un trasporto d'affetto e di pietà commossa. Non capivo, non ero avvertito che quest'Isola ha an­che un'altra anima, un'altra vita. L'ho capito qui a Iglesias, vedendole quasi,evocate, costrette in simboli, quasi un sogno faustiano, diceva Lombardo, disceso dai cieli del mito commisurato al nostro operare di ogni giorno, «Guardati intorno: -miniere millenarie, sol­tanto da un secolo riaperte, imprese che hanno trasformato la sterpaglia m cantiere, te capanne in villaggi operai, uno sforzo di tecnici e di maestranze che ha mutato volto alte pianure e alle montagne, ha giustificato la fiducia nell'e­nergia, nell'iniziativa, nella tenacia, che ha in­segnato il gusto del rischio e la fiducia nell'avvenire. Guardati intorno: nomi che compen­diano una storia, che ha toni di crudezza e di epopea, una storia fatta dalla lampada e dal martello del minatore, dalla provetta del chimico, dal regolo calcolatore, dal compasso. Conte sem­bra remota la nenia del pastore che attraversa l'altopiano, la miseria rassegnata del servo, l'ava­rizia meschina dei prinzipales». Voci e fantasmi di un altro mondo, di un altro mondo fasciato di nebbia veramente fermo nel tempo, che pure ti attrae come un vortice, solo che tu ceda alla SUA suggestione. «Qui, in questo urlare di motori, in quest'an­sia di progresso» tra questa gente, appare quello che è: il malinconico relitto di una età morta, lontane. «Di questa lezione sono debitore ad Iglesias: una lezione affidata al linguaggio multiforme e capriccioso degli stands della Fiera. E agli uomini che l'hanno voluta e realizzata vorrei dire grazie. Per me non sardo e per i sardi. Perché di questa lezione anche loro ave­vano bisogno. Carlo Meloni, Angelo Corsi, il sin­daco Pintus e tutti gli altri, non li conosco che di nome: ma, sicuramente, sentono di vivere non su un relitto insabbiato nelle secche del tempo, ma su un vascello che si inoltre a vele gonfie verso l'avvenire. Un modo di sentire che non è comune tra i sardi: che rappresenta invece - almeno per ora - l'eccezione. Molti, troppi di voi, hanno quasi paura dell'avvenire e sem­brano rimpiangere la quiete di una vita patriarcale dai rapporti sociali irrigiditi e fermi in una convenzione secolare; sembrano temere il mondo della macchina e delle collettività organizzate e coscienti, dove, nel furore della lotta sociale prende forma un mondo nuovo. Una Fiera non sembra il posto più adatto per un esame di coscienza. Eppure, pensaci un po' e vedrai che non è così...». Infatti non è cosi. Perciò questo che man­do da Iglesias non è il <<pezzo » brillante, "ma assomiglia piuttosto ad un esame di coscienza, una parentesi pacata, aperta nel lavoro di tutti i giorni. Non lo affido al telefono, non lo affido al telegrafo, neppure al «fuori sacco>>. "Non c'è fretta per questo pezzo, anche se i giornali sono fatti in fretta per gente che ha fretta. Se possa chiamarsi un buon servizio da Iglesias, non so. Notizie importanti non ne da; potrei cavarmela ripetendo quello che scrive Cecchi nei suoi Pe­sci Rossi: che le scoperte veramente importanti il giornalista, come ogni altro uomo di questa terra, le fa senza uscire di casa e senza alzarsi dalla sedia. Ma non occorre, Direttore: lei ha tra le mani un servizio che ha almeno que­sto di nuovo: viene da lontano, da molto lontana. Si c'è scritto Iglesias sul timbro postale. E' vero e non è vero: dovrebbe esserci scritto dalla Sardegna di domani.

Michele N. Saba